Un incidente, così come la morte, non è mai tragico. Non serve abbondare con inutili aggettivi di fronte alle parole che già di per sé implicano, inevitabilmente, dolore.
Me l’ha insegnato il direttore Cesare Cavalleri. Era un pomeriggio di settembre di ormai quasi 10 anni fa quando tutto contento mi presentai nel suo ufficio dopo che uno dei miei primissimi articoli venne pubblicato da una testata online. Con il suo giudizio sempre critico verso chi vuol fare questo mestiere, Cavalleri mi disse di prendere posto di fronte a lui che, con mia grande sorpresa, aveva già letto il pezzo che raccontava della morte, a causa di un ‘tragico incidente‘, di Gaetano Scirea. Era il venticinquesimo anniversario della sua morte e per un giornalista in erba, poter lasciar andare la penna parlando di un concittadino così illustre era un onore immenso. Cavalleri quel pomeriggio non spense il mio entusiasmo criticando alcune scelte di forma, ma lo incendiò, facendo scattare in me il desiderio di voler continuare a imparare l’arte del mestiere da chi, nel corso della sua vita, ne ha fatto di questo mestiere un’arte.
Senza voler abbandonare ulteriormente nella retorica, assai lontana dallo stile del direttore, mi affretto a raccontare di aver capito di voler fare il mestiere del giornalista perché nella mia vita ho avuto la fortuna di conoscere persone come Cesare Cavalleri. Nel numero di ottobre del 1993 su Studi Cattolici, la rivista di cui Cesare Cavalleri è stato direttore dal 1966 fino al 2022, uscì un piccolo trafiletto che mi diede il benvenuto al mondo: «Il 22 settembre è venuto a trovarci in redazione, accompagnato dalla mamma e dalla nonna, Nicolò Gelao, nato quindici giorni prima, primogenito di Saverio Gelao, responsabile del nostro Ufficio spedizioni e magazzino. Il bimbo, nato di quttro chili, ha mostrato vivo interesse per la biblioteca e per i colleghi del papà».
Parole che, come una profezia, hanno accompagnato inconsapevolmente il mio percorso di crescita.
Un percorso che è più volte passato dall’ufficio di Cesare Cavalleri alle Edizioni Ares, dove mio papà lavorava. A Milano, in via Stradivari prima e in via Santa Croce poi, negli ultimi anni dopo il trasferimento della sede della casa editrice, anche se gli impegni di lavoro avevano praticamente ridotto le mie visite ai soli brindisi di Natale. Nel giugno del 2018, quando arrivò l’iscrizione all’Ordine dei Giornalisti, Cavalleri mi accolse così: «Benissimo, allora da oggi ti chiamerò collega». Non l’ha mai fatto in realtà, non dimenticandosi però mai di esordire con un sorriso e la tradizionale frase: «Eccolo, è arrivato il nostro giornalista. Come sta andando il tuo lavoro? Come sta la mamma?».
Un lavoro che mi ha portato qui, sulle colonne del Gazzettino Metropolitano, grazie proprio alla spinta delle ‘sue’ Edizioni Ares e dei collaboratori delle riviste collegate, come Fogli e lo stesso Studi Cattolici, che mi spinsero a pubblicare il mio primo pezzo su carta stampata. Un piccolo cerchio che si chiuse nel marzo del 2021, quando la mia firma comparì per la prima volta su Studi Cattolici. «Un grazie affettuoso, caro Nicolò. Aspetto tuoi nuovi articoli sportivi», mi scrisse nel novembre dello stesso anno nel giorno del suo 85esimo compleanno.
L’Ambrogino d’Oro nel 2006 e la ‘Rosa Camuna’ di Regione Lombardia nel 2022 sono solo due dei più importanti riconoscimenti attribuiti a Cavalleri nel corso della sua carriera, entrambi preceduti, nel 2004, dal Premio Internazionale Medaglia d’Oro al merito della Cultura Cattolica, di cui è stato fedele testimone fin proprio alla fine, con l’estrema professionalità che lo ha da sempre contraddistinto. Nel novembre scorso, quando i medici gli avevano dato le ultime 9 settimane di vita, prese in mano ancora una volta la penna e affidò ad Avvenire, giornale di cui era stato collaboratore fin dalla sua nascita, il suo saluto ai lettori, dichiarandosi pronto ad affrontare il «grande salto» nella totale fede in Dio. Dalle Edizioni Ares oggi ricordano come per Cavalleri ‘Cammino’, il più celebre testo di san Josemaría, fu un riferimento costante: «Un libro veramente indispensabile. Esprime un’energia così forte che aiuta la conversazione con Dio, e quindi la conversione. Forse non c’è miglior compendio della vita di Cavalleri che l’incipit di Cammino: ‘Che la tua vita non sia una vita sterile. – Sii utile. – Lascia traccia. – Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore…’». E così è stato.
Cesare Cavalleri è morto nel tardo pomeriggio di mercoledì 28 dicembre all’età di 86 anni, al termine di una lunga malattia terminale. Questa è la vera notizia dell’articolo che avete appena letto e le regole giornalistiche avrebbero imposto di renderlo noto al lettore fin da subito. Ho sbagliato intenzionalmente, come sbagliai la prima volta che sottoposi un mio articolo al giudizio critico del direttore Cesare Cavalleri. Un ‘omaggio’ nel mio piccolo a chi ha insegnato tanto a tanti, per far sì che in ogni articolo, in ogni testo, possa sempre riecheggiare quel giudizio critico volto a migliorare lo stile di scrittura. Con la sua preziosa e pungente ironia, ne sono sicuro, Cavalleri avrebbe apprezzato.
Arrivederci, direttore.