I racconti dai nostri lettori: ‘Benvenuto autunno’

Ogni santo giorno, verso metà mattina, percorro il vialetto che da casa conduce al parchetto. Mi appoggio ricurvo al mio bastone, cercando di non inciampare con questi piedi malandati, che tanta strada hanno calcato.

Raggiungo la mia panchina preferita e qualche mamma mi saluta alzandosi gentilmente per cedermi il posto. Sono belle giornate d’estate ed il parchetto è tutto un vociare di bambini che si divertono sul prato verde brillante; non ne sono infastidito, anzi, tutto quel sano rumore mi mette allegria.Alcune mamme si intrattengono a chiacchierare con me. Mi raccontano delle loro vite e io con quelle storie mi sento un po’ meno solo. Due anni sono passati da quando la mia Teresa non c’è più.

L’unico momento allegro della giornata è proprio venire qui al parchetto, come ho fatto per tutta l’estate.Oggi mi sono alzato di malumore, perché ho dormito male e l’artrosi si è fatta sentire più del solito. Nonostante ciò decido di fare due passi al parchetto. È da qualche giorno che manco, un leggero raffreddore con qualche linea di febbre mi ha costretto a letto.Resto stupito nel vedere il parco completamente deserto, silenzioso, poi mi ricordo che sono iniziate le scuole e un po’ di malinconia pervade il mio cuore.

Penso alla mia amata Teresa, vorrei tanto piangere ma non riesco. Con grande fatica arrivo alla panchina e mi siedo. Apro il mio quotidiano per distrarmi e in quel preciso momento una folata di vento freddo mi strappa il giornale dalle mani e lo fa volare in fondo al prato. Lo raggiungo e lo afferro con decisione, prima che un’altra folata lo porti più lontano da me.Rialzando lo sguardo, osservo la mia panchina. È completamente ricoperta di foglie dalle mille sfumature di giallo. Anche il grande faggio che la sovrasta si mostra in tutto il suo splendore.

È una visione che mi stupisce parecchio. Non avevo mai visto la panchina da questa prospettiva, tantomeno il grande faggio, che ho sempre immaginato più basso.Alzo lo sguardo per scrutare il cielo terso, poi i miei occhi tornano sulla panchina. C’è seduta una donna, piccola, capelli grigi e cappotto chiaro, con il mio bastone in mano. Mi avvicino, la saluto. Lei si presenta, si chiama Speranza.

Ci mettiamo a chiacchierare, vengo a sapere che ha un anno in meno di me e si è trasferita in zona da poco; anche lei ha perso il marito di recente.Ci diamo appuntamento per il giorno dopo al parchetto.L’indomani stiamo seduti ore sulla panchina a parlare oppure a guardare le foglie morte danzare in balia del vento. Ci piace ascoltare il richiamo degli uccelli che si preparano a migrare altrove. Respiriamo a pieni polmoni il profumo di legna bruciata di qualche camino acceso e inzuppiamo le scarpe camminando nel prato bagnato dalla rugiada del mattino.Ci guardiamo negli occhi sorridenti e gridiamo al cielo: «Benvenuto Autunno».

Andrea Costa