Alle porte di Milano, a Limbiate, sorge Villa Pusterla Crivelli Arconati. Costruita a metà ‘700, la villa fu per breve tempo residenza di Napoleone Bonaparte durante la campagna d’Italia.
Nel 1863 cambiò del tutto funzione: il Comune di Milano acquistò la villa trasformandola un ospedale psichiatrico, ribattezzato Giuseppe Antonini ma conosciuto da tutti come il manicomio di Mombello. Nel corso del ‘900, la struttura divenne una delle più grandi d’Italia, arrivando a ospitare oltre 3mila pazienti. In quell’epoca non erano rari metodi oggi considerati violenti o inumani. Nella struttura esisteva un reparto sperimentale, ricordato come ‘la camera degli orrori’, dove si praticavano elettroshock, docce fredde e ustioni localizzate.
Diversi medici hanno varcato la soglia del manicomio di Mombello, come l’antropologo Cesare Lombroso, considerato il padre della criminologia moderna, che studiò qui alcuni casi clinici. Giuseppe Parravicino, direttore dell’Istituto di Anatomia Patologica dal 1901 al 1917, fu soprannominato ‘il pietrificatore’ per la sua capacità di mummificare i corpi dei pazienti defunti. A Mombello furono internati anche personaggi noti come Benito Albino Mussolini, figlio illegittimo del Duce e di Ida Dalser. Ricoverato nel manicomio a 26 anni, morì dopo pochi mesi per ‘consunzione’, diagnosi generica spesso associata a malnutrizione o trascuratezza.
La chiusura dell’ospedale avvenne a partire dal 1978, in seguito all’approvazione della legge Basaglia che sancì la fine dei manicomi. Oggi, solo una parte degli edifici è ancora in uso: vi hanno sede un istituto agrario, uno commerciale e una casa d’accoglienza per pazienti psichiatrici. I restanti padiglioni sono in stato di abbandono. L’intera area, estesa su 700mila metri quadrati, è ora parte del patrimonio della provincia di Monza e Brianza e luogo del Fai. Sono in corso progetti di recupero per restituire alla collettività un luogo che, tra memoria storica e ferite sociali, racconta un secolo di psichiatria italiana.