Quota 100, 103 e chissà. La pensione sta diventando sempre più un’utopia, soprattutto per i giovani, forse anche per le persone di mezza di età. È difficile arrivare a una certa età (quella della pensione) e avere i 42 anni di contributi.
In pochi hanno la fortuna di avere avuto sempre contratti regolari. Prendiamo ad esempio marito e moglie: lui, pur avendo sempre lavorato, al compimento dei 67 anni ha maturato soltanto 25 anni di versamenti, perché poche volte in regola, mentre la moglie 17, pochi per il diritto all’assegno pensionistico che al momento è di 20 anni. Che fare, allora? Semplice, dare al marito i contributi della consorte (visto che sono soldi versati e appartengono alla signora e dunque alla famiglia) per arrivare così a quota 42 e prendere una dignitosa pensione. Stesso discorso se i contributi della moglie fossero di meno, in modo da far salire da 20 in su il marito. Discorso che potrebbe essere fatto anche al contrario, con i contributi dal marito alla moglie.
È chiaro che occorrono dei paletti come, ad esempio, essere sposati da almeno 10 anni per evitare così i cosiddetti matrimoni combinati. E poi in caso di separazione? Beh, dividere l’assegno pensionistico in base ai contributi dei due: 25 anni al marito e 17 alla moglie. In tutto questo, al contrario del reddito di cittadinanza o assegno di inclusione, lo Stato non mette un euro, perché i soldi sono dei diretti interessati. Scusate se è poco!
Il Termometro Nazionale, l’editoriale del Gazzettino Metropolitano, è a cura del direttore Marco Fabriani