«Almeno non ti avessi incontrato, io che qui sto morendo e tu che mangi il gelato»: Lucio Dalla ci suggerisce la parafrasi più calzante per Tango, l’ultima canzone di Tananai, il colognese che quest’anno ha portato una ballata tanto struggente quanto significativa sul palco dell’Ariston.
Tango parla di un amore strappato dalla guerra, di un destino perfido che balla sopra le teste dei due protagonisti, calpestandoli e scaraventandoli in un vuoto difficile da colmare. Perché il fato entra in casa e non bussa alla porta. Se la canzone in sé ha un gusto retrò e malinconico, il testo è ben costruito e parla di un amore a distanza, ma assume un livello di significato ancora più profondo con il music video, pubblicato un paio di ore dopo la prima esibizione in gara di Tananai. È la storia di Olga, Maxim e Liza, rispettivamente moglie, marito e figlia separati a causa dello scoppio della guerra in Ucraina.
Le immagini del video mostrano una quotidianità man mano sempre più estraniante attraverso un collage di momenti della vita giornaliera della coppia da un anno a questa parte, accompagnati dalla dolcezza della melodia e da un testo al tempo stesso sentimentale e disincantato. Si parte dal passato di una coppia felice, come tante, fino al momento dell’addio: è qui che le inquadrature si sdoppiano dipanando un filo lungo migliaia di chilometri ma fragile, che tiene insieme due vite «tra le palazzine a fuoco». Sono le videocall a scandire le giornate della coppia e la storia di un amore terribilmente oppresso da una catastrofica guerra. La vita al fronte di chi è chiamato a combattere e chi invece è costretto a fuggire e trovare rifugio a Milano.
Nessuna retorica, questa è la forza del testo di Tananai: il cantautore interpreta questo amore come una poesia finita, dove i protagonisti si ritrovano a vivere una vita che non volevano, tanto da voler tornare alla notte in cui si sono conosciuti per evitare di conoscersi, perché amare così fa troppo male. Eppure «se amarsi dura più di un giorno» è meglio separarsi e aspettare che termini un tango, di fatto, incessante: crudele ironia di un ballo passionale e metafora di un destino non scelto, tanto nell’amore quanto nella guerra. E qui la parola ‘resistenza’ assume tante sfumature di significato.
Nel festival sanremese dove molti dei protagonisti sono sempre più autoreferenziali, tanto le canzoni quanto gli ospiti e i loro discutibili monologhi, c’è chi ha la capacità di raccontare una storia, vera e attuale. C’è chi ha qualcosa da dire, al di là dei virtuosismi canori, al di là delle isteriche fan base che fanno schizzare in alto in classifica sterili ritornelli, al di là dei tanto consolatori quanto stucchevoli cori da oratorio.
Se le capacità canore di Alberto Cotta Ramusino, in arte Tananai, hanno stupito il pubblico medio della kermesse canora, ancora mèmore delle performance di certo non brillanti dello scorso anno, la maturità artistica del cantautore non deve affatto sorprendere. Tananai in un anno ha dimostrato di essere poliedrico, di saper toccare i tasti giusti in chi lo ascolta rivolgendosi a un pubblico man mano più vasto. Con il suo fare scanzonato ha sfornato hit ballabili, come Sesso occasionale (ultima lo scorso anno a Sanremo), ma anche testi che mostrano una sensibilità artistica rara, come dimostrano le canzoni dell’ultimo album Rave/Eclissi.
Tango è un cerchio che si chiude e che dà la caratura artistica di Tananai. Per questo motivo, dunque, si dovrebbero accantonare le prime fuorvianti impressioni, non lasciarsi abbagliare da chi la retorica la usa per davvero e dare onore al merito: solo così gli ultimi saranno, per davvero, i primi.