Qualche giorno fa è uscito il rapporto sulla plastica compostabile, redatto dall’agenzia investigativa di Greenpeace Italia. Il rapporto, scaricabile sul sito dell’Associazione, mira ad evidenziare le problematiche che fanno capo alla gestione dei rifiuti derivanti da prodotti in plastica compostabile che nel nostro paese, a differenza della maggior parte dei paesi europei, che smaltiscono questo tipo di plastica nei rifiuti indifferenziati, per legge, secondo l’art. 182 Ter, comma 6, decreto legislativo 152/2006, devono far parte della filiera dei rifiuti organici e pertanto smaltiti come tali. In Italia abbiamo tre tipi di impianti per lo smaltimento dei rifiuti organici, gli impianti di digestione anaerobica, gli impianti di compostaggio e gli impianti integrati ove le due fasi, anaerobica e di compostaggio, sono integrate nello stesso sito industriale.
Secondo i dati sui rifiuti di Ispra relativi al 2020, il 63% dei rifiuti dell’umido, viene trattato negli impianti di digestione Anaerobica, integrati (56%) e non (7%), ma il problema sta nel fatto che sono proprio questi impianti ad avere seri problemi a gestire il processo di degradazione della plastica green (compostabile). Il resto della plastica green smaltito nelle strutture di compostaggio riscontra altrettanti problemi nei tempi richiesti per il processo di degradazione, che spesso sono ben superiori ai processi standard. Da una serie di verifiche è stato appurato che i test di laboratorio, non riproducono con esattezza le situazioni venute alla luce nei siti di smaltimento, per una serie di variabili che hanno generato delle problematiche attualmente non risolvibili che conducono a smaltire questo tipo di plastica egualmente in discarica o negli inceneritori. Si evidenzia quindi uno scollamento tra la norma, i test di laboratorio, quello che accade negli impianti e la percezione del consumatore che viene incentivato ad utilizzare il prodotto.
Il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, in una interrogazione parlamentare pubblicata il 17 dicembre 2021 (allegato B seduta 617) ha chiaramente fatto presente che la plastica compostabile, per essere trattata correttamente, necessita di impianti con caratteristiche molto diverse per temperatura, umidità e tempo di trattamento, rispetto a quelli attualmente in funzione che trattano i rifiuti organici di origine diversa. Quindi in un paese che ha puntato moltissimo sulla plastica green, tanto da far nascere a fine 2020 Biorepack, il primo consorzio europeo per la gestione ed il riciclo organico di imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile, i dati, confermano che la presenza di plastiche compostabili o con dicitura ‘Eco’ ‘Ok Compost’ ‘Biodegradabile e compostabile’, nei rifiuti della cucina, è salita da 1,5% del 2017 al 3,7% del 2020, ma la filiera per il processo di degradazione va supportata per rispettare quanto indicato nella normativa.
Quello Italiano, è un settore di produzione che ha riscontrato una crescita costante di addetti +4,8% e del fatturato +9,7%, (valori di crescita dal 2019 al 2020) comportando un volume di affari che si aggira intorno agli 815 milioni di euro. Una crescita esponenziale che per essere veramente un punto di riferimento a livello europeo, dovrà comportare un adeguamento degli impianti, cosi da trattare con successo le plastiche compostabili rigide con la parte organica dei rifiuti. Rimane comunque il dubbio in una visione più ampia, se incentivare il consumo di prodotti monouso a prescindere dal materiale utilizzato, non porti egualmente ad una sorta di collasso degli ecosistemi naturali per il grande consumo di risorse, legate alle fasi a monte della filiera.
Flavia Pruner