Città della Salute, l’intervista al Presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana

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Attilio Fontana racconta “gioie e dolori” del progetto di riqualificazione dell’area Ex Falck a Sesto San Giovanni, dove nascerà un polo specialistico dedicato alla cura dei tumori: la Città della Salute.

Politicamente, considera una vittoria la finalizzazione del progetto Città della Salute?

«Sono davvero molto soddisfatto di essere riuscito a concretizzare il progetto della Città della Salute. È un classico esempio della fatica necessaria per realizzare un obiettivo nel ginepraio delle regole e della burocrazia. Quando ci siamo insediati si era in una situazione almeno curiosa. Il soggetto privato aveva quasi realizzato le bonifiche dell’area su cui sorgerà il complesso di Città della Salute. Ma il pubblico era del tutto fermo perché incastrato nel ‘girone’ dei ricorsi e controricorsi amministrativi al TAR e al Consiglio di Stato e perché nel frattempo l’aggiudicatario era andato in difficoltà finanziarie e aveva richiesto l’amministrazione straordinaria. Abbiamo voluto riprendere con forza e coraggio, anche dal punto di vista amministrativo, il progetto che tutti davano per morto. Abbiamo prospettato una strada ad Anac che l’ha validata».

Qual è lo scoglio più grande che si incontra nella realizzazione di un progetto di questa portata?

«Abbiamo ripreso il confronto con le Fondazioni Besta e INT per aggiornare il progetto pure nei limiti imposti dalle regole degli appalti. Purtroppo le regole di questi ultimi impongono tempi lunghi. È un problema drammatico soprattutto se si guarda alle realizzazioni del PNRR. Tra quando si parte a quando si aggiudica un appalto occorrono almeno tre anni e poi ci sono i tempi di realizzazione. Sempre che non ci si imbatta in ricorsi al TAR o in varianti. Il rincaro dovuto all’aumento delle materie prime di questi mesi poi va ben oltre quanto le norme ci permettano di riconoscere. Un problema per ogni amministrazione pubblica su cui è necessario che lo Stato intervenga. Noi speriamo di aprire concretamente i cantieri entro l’estate».

Qual è il valore aggiunto che la Città della Salute può dare a Sesto San Giovanni?

«Realizzare la Città della salute recuperando un’immensa area dismessa è una sfida che ve ben oltre la sfera sanitaria. Significa concretamente, non nelle interviste, lavorare per una Città Metropolitana che non guardi solo all’interno della circonvallazione della città di Milano. Regione in questi anni non si è fermata. Abbiamo investito 5 miliardi, con le nostre uniche forze, con l’obiettivo di costruire una smart land in cui tutti i territori siano attrattivi ed abbiano opportunità di crescita, non solo economica, ma anche sociale. Una logica di inclusione che coinvolga anche la periferia. L’operazione Città della Salute è stata un volàno di altri investimenti che cambieranno l’intera Città Metropolitana, come il campus dell’Università Statale ad Arexpo, lo sviluppo intermodale di Segrate e altro ancora. A Sesto si svilupperà la nuova stazione ferroviaria, ci saranno spazi per il commissariato di cui finanzieremo la costruzione anche se non è nostra stretta competenza, servizi per la città, aree verdi, altri insediamenti sanitari e sociali. Noi pensiamo che la Città della Salute non debba essere un monolite isolato e inaccessibile, ma che debba integrarsi con la realtà sociale che la circonderà. Insomma, tanto si parla di rigenerazione urbana e di investimenti per la sanità pubblica del futuro. Noi lo facciamo concretamente. E l’area ex Falck sarà un esempio per tutto il mondo».

Quali sono le sfide della sanità lombarda nei prossimi anni, e come sono cambiate con la pandemia?

«La Città della Salute rappresenta una di queste. Trovare sinergie tra due eccellenze come il Besta e l’INT significa progettare una sanità capace di ricerca e sempre più di cure personalizzate, che è ciò di cui abbiamo bisogno e che la pandemia ha evidenziato. Molto si parla giustamente di medicina territoriale, ma non si dimentichi che pure nella tragedia che abbiamo vissuto in Lombardia da tutti, soprattutto da chi vive in altri regioni e in altri Paesi europei e no, ci viene riconosciuta la qualità delle cure e della ricerca che esprimiamo. E il futuro ci chiede di continuare a farle crescere. Senza poli di eccellenza nella ricerca e nella cura saremmo tutti più poveri e deboli».