Il Liceo Zucchi di Monza in gonna contro gli stereotipi di genere e la mascolinità tossica

Si è svolta nella giornata di mercoledì 10 novembre, per il secondo anno consecutivo, l’iniziativa ‘Zucchi in gonna’ organizzata dalle studentesse e dagli studenti del Liceo Classico Zucchi di Monza. Una manifestazione che ha visto la partecipazione di numerose ragazze e numerosi ragazzi del liceo, che si sono presentati a scuola vestiti con la gonna. La scelta di questo indumento è molto simbolica, infatti la gonna è vista dalla società come un capo d’abbigliamento tipicamente femminile. Uno degli intenti dell’iniziativa è proprio quello di rimarcare come non esistano indumenti che definiscano l’identità di genere di chi li indossa.

Un modo per sensibilizzare su delle tematiche molto attuali e per esprimere un principio fondamentale, la libertà di essere se stessi e di potersi autoaffermare, esprimendo la propria individualità. Una libertà che va contro gli stereotipi di genere che incasellano modi di vivere e di esprimersi secondo un ordine binario, da cui scaturiscono i due problemi che gli studenti hanno voluto sottolineare: la mascolinità tossica e la sessualizzazione del corpo femminile.

Una forma di sensibilizzazione che travalica le mura della scuola e ha come imputato un’intera società, per cui una ragazza che indossa una gonna è oggetto di sessualizzazione e viene tacciata come irrispettosa nei confronti delle istituzioni se la porta a scuola. Allo stesso tempo, un ragazzo per essere potersi definire ‘uomo’ deve attenersi a certi costumi che la società impone, come quello di non indossare determinati abiti, come una gonna, che sono ritenuti riprovevoli sul suo corpo e squalificanti per la sua ‘mascolinità’. L’intento di ‘Zucchi in gonna’, dunque, è proprio quello di rimarcare che i vestiti non hanno genere, che un ragazzo non deve dimostrare il suo essere ‘uomo’ attraverso il suo modo di vestirsi e allo stesso tempo che una ragazza è libera di mettere una gonna senza che la società la tacci come ‘inappropriata’ o ‘provocatrice’, come se il suo corpo fosse un mero oggetto.

Un messaggio, dunque, che coinvolge l’intera opinione pubblica e invita a una riflessione che apra le menti all’inclusione, alla libertà di autodeterminarsi e di esprimersi e che, al tempo stesso, promuove una società che possa accogliere e che supporti la diversità.