L’emergenza pandemica ha reso obbligatorio l’uso della mascherina in quanto dispositivo di protezione individuale, indispensabile ai fini della salvaguardia della salute personale e collettiva.
Il non vedere parte del viso ha reso impossibile la lettura del labiale acuendo fortemente l’isolamento di una parte di popolazione vulnerabile.
In Italia raggiungiamo la soglia dei 7 milioni e sono in continuo aumento anche tra i più piccoli, i soggetti estremamente fragili che, oltre a soffrire di ipoacusia o problemi all’udito, a causa della pandemia, hanno subito ulteriori limitazioni che hanno condizionato e leso il loro equilibrio in ambito sociale e relazionale.
La pandemia di Covid-19 ha stravolto le regole di tutti i cittadini e conseguentemente la quotidianità e la vita di chi soffre di ipoacusia e lotta per non essere escluso dalla vita sociale a causa dell’isolamento che ne deriva, soprattutto per gli anziani. In una intervista riportata dall’Ansa, secondo il presidente di Siaf Roberto Abera, la mascherina determina un abbattimento del suono di circa 10/5 decibel e delle alte frequenze, se si è in un luogo pubblico con un grosso rumore di fondo che copre le basse frequenze a cui si aggiungono le alte frequenze indebolite dalla mascherina, la comprensione diventa nulla.
Il numero degli ipoacusici in Italia è in crescita. «La prevalenza oggi è di circa il 12%. Si stima che il 50% degli ultraottantenni abbia un problema di ipoacusia. Oggi ha un tasso di crescita del 5% e che in futuro potrà arrivare intorno al 7-10%», sono i dati di Fabrizio Alfieri, direttore del Centro ricerche e studi di Amplifon Italia.
Se è corretto il dato che mediamente trascorrono sette anni da quando una persona accusa i primi sintomi di calo dell’udito a quando decide di farsi visitare, è importante fare subito prevenzione e ridurre questo lasso di tempo.
Flavia Pruner