«Viene stuprata la mattina, il pomeriggio fa kitesurf e denuncia dopo 8 giorni: è strano». Con queste parole, pronunciate dall’ex comico e fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, si è aperta nei giorni scorsi una nuova pagina del patriarcato.
La narrativa stereotipata, secondo la quale una persona non aspetta a denunciare o parlare di una violenza subita, non tiene conto di una serie di fattori. In primis, del tempo di elaborazione. Il video pubblicato da Beppe Grillo (tanto forzato quanto strumentalizzato) una cosa positiva però l’ha fatta. Ha creato intorno a sé un movimento paragonabile a quello del #metoo post Weinstein.
Si è diffuso così sui social l’hashtag #ilgiornodopo: tante donne vittime di violenza (o meglio, ‘sopravvissute’), hanno iniziato a raccontare. E a raccontare soprattutto il loro giorno dopo. Raramente si corre con lucidità in commissariato a denunciare (e quando succede, tanto di cappello).
Più tipicamente, il giorno dopo non ci si è resi nemmeno conto di quanto accaduto. C’è chi lo passa a fare sport (come Silvia, la ragazza del caso Grillo), chi la spesa, chi esce con gli amici, chi va normalmente a scuola, e magari sostiene pure un esame o un’interrogazione importante. Non è insolito rispettare i programmi già prefissati, provando a mantenere dei punti di riferimento. E non è insolito aver bisogno di tempo per elaborare. Già riuscire a fare questo – elaborare – che sia in otto giorni o in otto anni, è da applausi e tappeti rossi.
Abbiamo già raccolto alcune segnalazioni, le testimonianze e i pensieri di donne (e uomini) del Nordmilano che vogliono raccontarsi, o semplicemente dire la loro sull’argomento. Ma cerchiamo la testimonianza di altre persone che vogliano raccontare (sempre anonimamente) la propria esperienza. Raccontateci il vostro #giornodopo per dar voce all’ingisutizia.
Inviateci la vostra esperienza a:
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