Una lettrice del Gazzettino Metropolitano, residente a Cinisello Balsamo, ha scritto una lettera aperta per ‘denunciare’ l’esperienza dei propri genitori che hanno recentemente eseguito il vaccino antinfluenzale nella struttura messa a disposizione dal Comune. Riceviamo e pubblichiamo:
«Mattina di mercoledì 2 dicembre: mamma e papà, ultrasettantenni, si recano insieme al palazzetto di Cinisello Balsamo per il vaccino antinfluenzale.
Val la pena di spendere due parole riguardo ai giorni prima dell’agognato appuntamento. È stato un palleggiarsi di informazioni poco corrette, trattenute e rimbalzate tra chi doveva garantire in modo sollecito ciò che in primis spetta alla popolazione più fragile, soprattutto in questo particolare momento storico, che sono i nostri anziani: l’anello più debole che la pandemia sta colpendo più che altri.
Qualche farmacista che fa spallucce, altri che non ne sanno nulla, altri ancora che sono tempestivi nel fornire dettagli più precisi e rimandare i richiedenti ai propri medici di competenza. Alcuni medici di base che tremavano alla domanda di richiesta del vaccino, poiché già nei mesi autunnali le istanze avanzate erano moltissime, complice anche la paura imperante del Covid e che un po’ tra il rassegnato e l’impotente rispondevano: ‘Chissà quando arriveranno…‘.
E infatti si è arrivati a dicembre. Al palasport Salvador Allende di via XXV Aprile. Possibile che a tutti o quasi sia stato dato lo stesso orario di arrivo? Ma non si devono evitare assembramenti? Assembramenti, poi, di gente per lo più anziana. E prima che i pazienti si mettano ordinatamente in fila, non è il caso che il dottore o dottoressa si faccia già trovare nel suo angolo preposto alla distribuzione di un presidio di vitale importanza per alcuni? Poco importa se in quella fila, ordinata ma sghemba, ci sia gente che fa fatica a reggersi in piedi e le persone di buon cuore certo non esitano a far passare il vecchietto che poverino avanza incerto appoggiato ai suoi due bastoni.
Abbiamo detto che di pandemia si tratta. Il luogo è chiuso, è affollato, sono quasi tutti ‘vecchietti’ (quando il palazzetto viene usato per grandi manifestazioni sportive offre uno spazio molto ampio che potrebbe garantire una maggiore dislocazione delle persone alla dovuta distanza di sicurezza) invece no, tutti lì nello spazio più angusto possibile.
Dove appoggiare i cappotti? Semplice, su qualche sedia messa lì a casaccio, ovviamente senza prevedere alcuna disinfezione delle superfici, quindi mani che si sfiorano e indumenti che si incrociano.
Mamma e papà hanno avuto la fortuna di poterci andare insieme, che forse è la fortuna più grande e non solo di sorreggersi in questi momenti, ma anche di reggersi il cappotto vicendevolmente. Tornano a casa sconsolati. Più che indispettiti dal trattamento a tutti loro riservato, amareggiati: ‘È questo il modo di trattarci?’.
Ecco, la sanità non è un gioco, palleggiare può essere un giochino divertente per sgranchirsi le gambe, ma la vita degli individui, per ognuno di noi, No. È sacrosanta, la salute va tutelata e messa in sicurezza, le persone vanno rispettate e vanno garantiti i diritti alla cura in modo attento e prezioso, senza tralasciare nulla. Soprattutto per i più deboli».
Lettera firmata