L’epidemia di Covid-19 che ha colpito il continente europeo ha avuto grandi ripercussioni su un gruppo di persone di cui si è parlato molto poco: i giovani che si trovavano all’estero per progetti di mobilità europea. Nell’ultimo decennio l’Unione Europea ha investito tempo e denaro per spingere i giovani ad aderire a progetti di erasmus, scambi e volontariato europeo. Come mai la mobilità è così importante per i Paesi dell’Unione? E come sono cambiati e cambieranno gli scambi in un momento in cui la sicurezza sembra legata a un minor ‘movimento’ possibile?
A queste domande ha risposto Elisa Scardoni, cinisellese di 29 anni, che lavora per Eurodesk Italia e si occupa da anni di promozione e informazione sui progetti di mobilità europea per ragazzi dai 13 ai 30 anni.
Qual è il ruolo degli scambi e dei progetti di mobilità all’interno dell’unione europea? «Ci sono molteplici ragioni e obiettivi: il tentativo di costruire un sentimento di cittadinanza europea, facendo incontrare i ragazzi. Perché il senso di identità non è dato solo dalla nazione in cui si nasce. C’è poi il fattore dell’apprendimento interculturale, perché si vive in contesti diversi da quelli di riferimento. E infine conta l’obiettivo di sviluppare competenze trasversali. Queste rientrano in un quadro di 8 competenze chiave di cittadinanza attiva, che secondo l’Unione Europea tutti i ragazzi dovrebbero conseguire nel loro sviluppo, anche per contrastare la disoccupazione giovanile. Sono la capacità di comunicazione nella lingua madre e nelle lingue straniere; imparare a imparare (mettersi in gioco); competenze sociali e civiche; competenze digitali; competenze scientifiche, tecniche e tecnologiche».
«Qual è il ruolo di Eurodesk? «Eurodesk è una rete finanziata a livello europeo, in ogni paese membro c’è un punto locale di riferimento, poi si dirama nei territori con una serie di sportelli. Qui si fa formazione e orientamento sulle opportunità all’estero per i giovani, tramite colloqui ed eventi, tutti gratuiti».
Come è cambiata la mobilità in Europa durante il Covid? «Come per tutto il resto, inizialmente è stato un po’ caotico: tutte le mobilità in partenza sono state annullate. Le prime sono state quelle italiane. I partner dell’Italia hanno iniziato ad annullare alcuni incontri. I progetti già in corso sono andati avanti per la maggior parte lavorando in remoto. Alcuni scambi si sono trasformati con incontri tramite zoom e la partecipazione è stata alta. L’Unione Europea ha spinto sui virtual exchange, che prevedono appunto parte delle attività in remoto. Il 19 maggio i ministri della Gioventù dei paesi membri si sono incontrati per parlare dell’inclusione dei giovani. Accordandosi sulla massima flessibilità per quanto riguarda i progetti. Quindi i volontari all’estero che si sono visti sospendere i progetti potranno recuperare l’attività anche nei prossimi mesi».
Cosa è successo ai volontari che si trovavano all’estero per uno scambio quando è avvenuto il lockdown? «I volontari all’estero hanno ricevuto il massimo supporto dalle organizzazioni. Alcuni sono rientrati ma la maggior parte è rimasta all’estero facendo attività in remoto con promozione e gestione dei social. Altri ancora hanno potuto incrementare azioni di solidarietà necessarie durante il lockdown. In Polonia hanno aiutato con la distribuzione alimentare, in Croazia hanno consegnato medicine agli anziani e in Romania cucito mascherine».
Quante persone coinvolge ogni anno Eurodesk Italia? «I ragazzi dai 13 ai 30 anni interessati alle opportunità di mobilità nel 2019 sono stati più di 53.600, su 290 eventi promossi. Al sito Eurodesk sono registrati 47.332 utenti. Il portale europeo per i giovani ha avuto 28milioni di visite nel 2019. Il numero di ragazzi che si stanno interessando e hanno accesso alle informazioni cresce ogni anno. Anche perché la partecipazione dei ragazzi è gratuita. Al volontario vengono coperti i costi di viaggio, vitto, alloggio e un pocket money mensile, oltre a un corso di lingua del paese ospitante. La sfida attuale è quella di coinvolgere i ragazzi in povertà. L’85 per cento dei ragazzi che partecipano allo scambio hanno famiglie alle spalle con una visione aperta, accesso alle opportunità o esperienze di vacanza studio. La percentuale di ragazzi partecipanti con minori opportunità è ancora bassa».
Pensi che anche la mobilità europea andrà in una direzione sempre più virtuale nei prossimi anni? «Gli strumenti virtuali sono un buono strumento complementare. Non può essere paragonato, a livello di intensità, all’esperienza in presenza ma è comunque molto potente. È capace infatti di abbattere alcune barriere create dallo spostamento fisico, come le difficoltà economiche, famigliari, o quelle date dalla disabilità. Tutti quelli che lavorano con i giovani sono stati messi di fronte al fatto che quelli digitali sono strumenti che dobbiamo saper usare e che devono essere messi a disposizione di tutti».