Dalla ricerca degli intensivisti dell’ospedale San Raffaele di Milano, emerge un nuovo identikit relativo ai soggetti più a rischio da forme gravi di covid-19, che richiedono la ventilazione meccanica. L’età media è 61 anni e il sesso maschile. Invece le patologie più presenti sono ipertensione, cardiopatie e diabete.
Il profilo proviene da uno dei primi studi clinici osservazionali
focalizzati su pazienti in terapia intensiva, pubblicato su Critical Care and Resuscitation. «Se è vero che dopo venti giorni di follow-up il 23% dei pazienti ricoverati è deceduto e il 45% è ancora intubato, è anche vero che il 32% (di fatto 1 paziente ogni 3) è stato dimesso dalla terapia intensiva. Il che significa che anche dalle forme più gravi di covid-19 si può guarire», evidenziano dal San Raffaele.
«La prima cosa che osserviamo sono i lunghi tempi di degenza in ventilazione assistita, una condizione che mette naturalmente sotto stress tutto il sistema. Ciò nonostante, se si dà il tempo giusto ai pazienti, una percentuale importante di questi riescono a guarire anche in assenza di terapie mirate per questa patologia», spiega Giovanni Landoni, direttore del Centro di Ricerca in Anestesia e Terapia Intensiva dell’ospedale.
«I fattori che predicono gli esiti positivi sono fondamentalmente dati dalla giovane età e dall’assenza di ipertensione. Anche una buona risposta iniziale in termini di ossigenazione del sangue può essere il segno di una futura guarigione».
I pazienti sono trattati, oltre che con antivirali e immunosoppressivi in via sperimentale con anti coagulanti per ridurre il rischio di eventi trombotici, che sembrano giocare un ruolo importante nelle fasi più avanzate della patologia.
Tra i farmaci impiegati sui pazienti più critici c’è anche, per la prima volta in Europa, l’Angiotensina II, un vasocostrittore già impiegato in terapia intensiva negli stati Uniti, ma in contesti diversi.