È stata completata la sperimentazione del Policlinico San Matteo di Pavia per la cura con il plasma. Ora il trattamento contro il Covid può essere adottato in Lombardia e in tutta Italia. Lo ha annunciato la Regione durante la conferenza di questo pomeriggio.
La sperimentazione è stata avviata dal San Matteo in collaborazione con le università di Pavia e di Pisa e con gli ospedali di Mantova, Brescia e Bergamo. «Questa mattina ho avuto un colloquio telefonico con il ministro Roberto Speranza, che ha confermato l’interesse del governo a proseguire su questa iniziativa – ha affermato il governatore lombardo Attilio Fontana – Sono molto orgoglioso di questa sperimentazione che accende la speranza per la cura del coronavirus. È stata aperta una strada che verrà seguita anche in altre parti del mondo».
La ricerca è stata avviata il 17 marzo e si è conclusa pochi giorni fa, l’8 maggio. «Lo studio ha riguardato l’utilizzo del plasma da pazienti guariti come terapia per il coronavirus», ha evidenziato Carlo Nicora, direttore generale del Policlinico San Matteo di Pavia. I ricercatori hanno pensato di studiare l’immunizzazione passiva, prelevando il plasma dei guariti e rinfondendolo in pazienti attualmente in ospedale.
La documentazione scientifica verrà presentata giovedì ma i risultati che sono stati esposti oggi sono incoraggianti. «Inizialmente l’obiettivo principale era la riduzione della mortalità – ha spiegato Fausto Baldanti, direttore dell’Unità di virologia del San Matteo – In origine i dati ponevano la mortalità dei pazienti con ventilazione assistita o ricoverati in terapia intensiva, tra il 13 e il 20 per cento. L’obiettivo è stato verificare se la terapia con il plasma iperimmune fosse in grado di ridurre la mortalità. E in effetti si è ridotta al 6 per cento. Si è passati da un decesso ogni 6, a uno ogni 16. Anche i parametri respiratori e le immagini radiografiche con polmonite bilaterale hanno registrato un sensibile miglioramento, al termine della prima settimana».
Per lo studio sono stati considerati in particolare 4 aspetti: in letteratura era riportato l’utilizzo del plasma a scopo terapeutico; vi era la possibilità di avere donatori locali; la plasmaferesi era facilmente attivabile nella struttura e non esistevano al momento in letteratura studi che ne dimostrassero l’efficacia.
Si è pensato quindi di condurre un progetto di studi pilota. I ricercatori si sono posti tre obiettivi: studiare se vi era una diminuzione della mortalità a breve termine nella terapia intensiva; capire se utilizzando la trasfusione di plasma vi era un miglioramento dei parametri respiratori e se vi era un miglioramento dei parametri legati all’infiammazione.
Il passaggio successivo era trovare un ‘titolo’, che signfica stabilire quanto siero ci fosse nei pazienti guariti e quale diluizione di siero era in grado di uccidere il virus in coltura.
«È necessario quindi il passaggio della titolazione del siero, dando la stessa dose del ‘siero potente’ a tutti – ha confermato Baldanti – Prima di tutto abbiamo cercato di calcolare il potere neutralizzante del siero. Tutto ciò è stato fatto a sole tre settimane dall’inizio dell’epidemia. Per poter immaginare di usare il plasma a scopo terapeutico bisognava caratterizzare il plasma dei guariti sulla base del potere di neutralizzazione che il plasma stesso aveva: saltare questo passaggio avrebbe portato a risultati sconfortanti».
Una volta stabilito qual è il plasma da raccogliere con il titolo, bisogna capire come prelevarlo in sicurezza e rapidamente. «E questo è possibile grazie ai separatori cellulari – ha dichiarato Cesare Perotti, direttore del servizio di immunoematologia del San Matteo -. Chi si siede convalescente a donare il plasma deve garantire la sicurezza di avere in circolo gli anticorpi. Viene sottoposto quindi a un percorso di triage; c’è un lavoro di rintracciamento del soggetto, e un arruolamento con visita medica, che garantisca anche la sicurezza del donatore. Dal paziente convalescente in 35-40 minuti si riesce a ottenere una quantità di plasma di circa 600 ml». La quantità ottimale è infatti di 300 ml e da un paziente si prelevano due dosi di plasma utili. «Una terapia solidale che si può svolgere in tutta sicurezza grazie ad apparecchiature a disposizione di qualsiasi centro in Lombardia», ha proseguito Perotti.
«Si tratta di uno studio pilota – ha aggiunto Raffaele Bruno, direttore di Malattie infettive del San Matteo -. Sono stati arruolati pazienti con più di 18 anni con determinate caratteristiche: tampone positivo, non avere stress respiratori tali da necessitare di supporto di ossigeno, rx torace positivo e altre caratteristiche respiratorie peculiari». In tutto sono stati arruolati 46 pazienti, tutti tra Mantova e Pavia, e soltanto uno fuori Regione, a Novara.
«Questo protocollo sarà a disposizione del Paese – ha detto l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera – La nostra ricerca sui test sierologici ha anche lo scopo di individuare i pazienti con plasma iperimmune. Da oggi lanciamo anche la banca del plasma iperimmune: una volta definito un protocollo, inizieremo la raccolta di sangue e di plasma, partendo dai tanti guariti che abbiamo. Verificheremo le condizioni anche sui donatori Avis. Metteremo a disposizione un modello di utilizzo ampio per i nostri concittadini, da qui a qualche settimana».