Uno studio approfondito del San Raffaele ha stabilito quale sarà la popolazione da proteggere nella fase 2 dell’emergenza Coronavirus.
I medici e i ricercatori del San Raffaele hanno identificato le quattro categorie più ‘a rischio’ e da proteggere, in quanto soggetti a maggior rischio di sviluppare le forme più aggressive della malattia. «Evidenze scientifiche – spiegano dall’ospedale – suggeriscono la necessità di uno stretto coordinamento tra la medicina del territorio e gli ospedali ad alta specializzazione per guidare la riapertura del Paese in sicurezza durante la Fase 2. Nelle prime settimane del capitolo italiano della pandemia, i medici e i ricercatori del San Raffaele hanno avviato un maxi studio clinico osservazionale per capire di più della malattia e dei soggetti colpiti più gravemente. A guidare l’équipe il professor Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare, e il professor Fabio Ciceri, vice direttore scientifico per la ricerca clinica e primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di Midollo».
Le informazioni sono state ottenute incrociando l’analisi dei campioni biologici, la storia clinica e i dati diagnostici dei pazienti: «E ci dicono – spiegano dal San Raffaele – che di fronte al nuovo coronavirus non siamo tutti uguali». Da qui l’dentificazione della popolazione da proteggere nella fase 2: secondo la ricerca, i fattori di rischio primari per la mortalità da Covid-19 sono l’età avanzata, un tumore maligno in corso, l’ipertensione arteriosa e la malattia coronarica.
Ma c’è di più: secondo le analisi di laboratorio i pazienti a maggior rischio hanno un basso numero di linfociti nel sangue, perché esauriti da una risposta immunitaria fuori misura, e valori elevati di alcuni marcatori che misurano la presenza di una reazione iper-infiammatoria. Sulla base di queste evidenze scientifiche è possibile costruire un percorso preventivo di screening, presa in carico e cura dei pazienti a rischio, che preceda il ricovero.
«Attraverso gli indicatori che abbiamo individuato – spiega il il professor Fabio Ciceri – possiamo riconoscere in anticipo i pazienti che svilupperanno la forma più grave della patologia. Su questi pazienti potremo intervenire più precocemente e con maggior efficacia usando le terapie che già stiamo testando con discreto successo su pazienti in condizioni più avanzate».
«Attraverso un programma di screening e attraverso l’intervento tempestivo, innanzitutto a domicilio – aggiunge il professor Alberto Zangrillo -, possiamo gestire la patologia in anticipo, riducendo altamente la mortalità. Per fare un esempio concreto, un iperteso con più di 65 anni, a fronte di un episodio febbrile non deve essere lasciato a casa nella speranza di un’evoluzione positiva del quadro clinico. Deve essere tempestivamente inserito in un percorso di diagnosi, monitoraggio e cura».
Secondo lo studio del San Raffaele, per fare tutto ciò è però fondamentale costruire un’alleanza forte tra ospedali ad alta specializzazione, che hanno l’esperienza della malattia e i farmaci innovativi a disposizione, e la medicina del territorio, che grazie a una veloce identificazione può proteggere la popolazione di pazienti a maggior rischio di ricovero e mortalità.