Ecco il parere di Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore dell’Università degli Studi di Milano intervistato da Nino Santarelli per il Gr di TeleRadioStereo, emittente radiofonica diretta da Marco Fabriani, alla guida anche del nostro Gazzettino.
Professore, a che punto siamo sull’emergenza coronavirus? Le misure di distanziamento sociale, ora prorogate fino al 13 aprile, stanno dando i risultati che si aspettava?
«Direi di sì, siamo ancora in una fase di rallentamento e di continuazione dell’epidemia e della catena dei contagi, ma oggettivamente si stanno abbassando, come numero giornaliero, i nuovi casi. Siamo riusciti in pratica a tagliare la punta del picco. Abbiamo schiacciato questa curva che in realtà non è un unico picco ‘della montagna’, ma si tratta più di un serie di picchi su diverse regioni e province italiane, e quindi di una collina. Ora siamo sulla sommità della collina, che è digradante. Per vederne la discesa si deve camminare ancora un po’, e camminare vuol dire stare ancora a casa per un po’».
Il capo della protezione civile Angelo Borrelli ha detto che dovremo rimanere a casa almeno fino al 1° maggio. Cosa ne pensa?
«Borrelli ha ragione, più saremo stretti nelle misure e più riusciremo a ottenere un risultato che non ci faccia pentire della ripresa. Con la mitigazione si riescono a salvare un po’ di persone dall’infezione ma vuol dire che questi soggetti rimangono suscettibili e possono essere attaccati di nuovo dal virus. Ci dovrà essere una prima fase di scaglionamento. E si dovrà attendere ancora del tempo per le situazioni in cui riprenderanno i contatti sociali tout court».
Cosa vuol dire, concretamente, che dovremo convivere con il virus?
«Tenere alta l’attenzione per i soggetti a rischio, questo è un imperativo. Attenzione e rispetto alle probabilità di rischio di ognuno. E poi attenzione all’igiene personale. Un aspetto al quale si dà poca enfasi, ma ci tengo a rimarcarlo. Il lavaggio delle mani è un elemento molto importante. Poi è probabile che dovremo indossare la mascherina, anche quando potremo di nuovo uscire. Bisognerà stare attenti al distanziamento sociale anche, ad esempio, ai tavoli dei bar, che saranno gli ultimi a essere riaperti. Bisognerà mantenere gli spazi interpersonali. Tutti aspetti che sono venuti oggi alla luce e che andranno mantenuti nel tempo».
Perché la Lombardia è stata la Regione più colpita da questa emergenza? Dal suo punto di vista sono stati commessi errori?
«Assolutamente no, è stata la sfortuna di una situazione legata a qualcuno che è arrivato dalla Cina, magari un italiano o un tedesco, e questo ha portato alla presenza di persone con forme simil-influenzali, che di fatto hanno creato una specie di iceberg. Noi lo abbiamo visto quando è uscito dalla superficie col primo caso, che era uno dei primi casi complicati di malattia. La maggior parte delle persone presenta infatti sintomi simil-influenzali ma qualcuno, come sappiamo bene, ha una polmonite virale, come il 38enne di Codogno. Magari lui era il 200esimo malato, ma il primo di quelli colpiti in modo grave. Questo ha fatto schizzare immediatamente il numero di casi in Lombardia».