Il Tribunale di Milano bacchetta il Comune di Sesto San Giovanni per la richiesta di documenti catastali ai cittadini stranieri che fanno domanda per una casa popolare. «È accertato il carattere discriminatorio della condotta del Comune», dice il giudice in una sentenza di qualche giorno fa, ma l’amministrazione di Sesto non fa passi indietro e risponde: «Stiamo solo applicando alla lettera una legge nazionale in vigore da vent’anni».
La Legge citata è la numero 445 del 2000, che però a Sesto, come in altri Comuni, fino a pochi anni fa non era stata applicata alla lettera. Per fare richiesta di un alloggio popolare bastava infatti che i cittadini italiani o stranieri compilassero un’autocertificazione in cui dichiaravano di non possedere beni immobili nel loro paese d’origine. Con il cambio di amministrazione alla guida della città, l’autocertificazione non basta più: «I residenti italiani e stranieri devono fornirci i documenti del catasto del loro Paese», spiega l’amministrazione comunale: «è una questione di giustizia».
Ci sono però alcuni Paesi extraeuropei dove non esiste un istituto simile al catasto italiano ed è quindi impossibile produrre le certificazioni che il Comune richiede. Questi residenti rimanevano perciò esclusi dal bando per le case popolari. Da qui il «carattere discriminatorio della condotta», secondo il Tribunale.
L’amministrazione comunale però non intende cedere sul punto e ribadisce: «Smetteremo di chiedere il documento del catasto come requisito al momento in cui si fa domanda per la casa. Nulla ci vieta però di richiederlo nel momento in cui la casa viene assegnata, prima della consegna delle chiavi. Se il paese d’origine non ha il catasto non può essere un problema di cui si fa carico il Comune». La barriera di accesso non si elimina quindi ma si sposta a un momento successivo.
Sulla questione si è espresso anche il Partito Democratico cittadino che ha dato voce alla sentenza del Tribunale e sottolinea: «Ancora una volta ricordiamo che un’amministrazione comunale deve tutelare i bisogni e le fragilità, e non cercare escamotage tecnici per escludere le famiglie richiedenti che non hanno le origini o il passaporto ‘adatto’».