I decreti sempre più stringenti contro la diffusione del Coronavirus impongono di restare a casa, una questione che però non tutti sembrano aver colto. A questo proposito abbiamo intervistato il giudice Adriano Iasillo, presidente I Sezione Penale della Cassazione, che invita a riflettere sull’importanza di questo aspetto.
Perché è importante restare a casa?
«Dovrebbero tutti ormai essersi resi conto di come si diffonde facilmente il Coronavirus, degli effetti che produce, dei morti che causa, dei rischi a cui chi esce di casa espone non solo se stesso ma anche le persone care: nonni, genitori, amici, figli. In ogni famiglia c’è qualcuno che potrebbe riportare gravi conseguenze. Per questo bisogna uscire solo se necessario, con tutte le accortezze che raccomandano gli scienziati di grande fama».
Qual è il rischio?
«Se si ammalano troppe persone non ci sono i posti per le cure adeguate, le terapie intensive sono già piene. Non riesco davvero a capire come la gente non possa comprendere un punto così semplice».
Poi c’è l’aspetto penale…
«Certo, ma vorrei che le persone non dovessero solo temere l’intervento dei carabinieri e quindi non escono ma poi magari invitano 4 persone a casa. Dovrebbero loro stessi essere convinti dell’importanza di starsene a casa, cercando di evitare contatti, lavandosi sempre le mani e rispettando ogni disposizione. Non è la denuncia che deve spaventare. Dovremmo essere noi consapevoli che uscire è una dannoso per noi e per gli altri. E non perché qualcuno ci vede».
Come mai non lo capiamo?
«Noi abbiamo questa anarchia di fondo, come se fossimo degli eroi a uscire o a dare la mano agli altri. Ci sentiamo forti. Invece siamo esseri viventi, deboli. Chiunque può prendere il virus e attaccarlo ai propri cari. La mentalità della gente deve cambiare secondo la logica e il buon senso, e non solo perché glielo si impone. Non capiamo che chi deve uscire per motivi essenziali è sfortunato. Chi ha la possibilità di stare a casa lo faccia, riscoprendone le bellezze, sapendo che lo si fa fa per se stessi e per gli altri, per la collettività».
Marco Fabriani