Altra settimana, altro giro di storie MeToo. È la rubrica del nostro Gazzettino che vuole raccontare, senza sconti, le storie di sessismo quotidiano vissute dalle nostre lettrici.
Le raccontiamo non per creare un’immagine di vittime e carnefici ma per rendere noto a tutti, uomini e donne, cosa significa essere discriminati per il solo fatto di essere femmine. Secondo noi, dare un nome alle ingiustizie è il primo modo per sconfiggerle. Questa settimana le storie sono ambientante nei luoghi più disparati: dal campo di atletica allo studio dentistico, dalle strade in cui si sfreccia con la bicicletta al benzinaio. In questo numero della rubrica vediamo che il sessismo può essere urlato, in sosta al semaforo, e strisciante, in atteggiamenti ambigui e carichi di imbarazzo.
In ogni caso, lascia uno strascico di disagio e inadeguatezza. A tutti gli uomini e le donne che vogliono aiutarci a dar voce a questo fenomeno, a queste ingiustizie, chiediamo di scrivere una mail raccontandoci la loro storia a redazionegazzettino@gmail.com. Tutti gli episodi sono e saranno pubblicati in forma totalmente anonima e fedele al racconto che riceviamo
Dal benzinaio: «Schernita per un parcheggio»
«Un episodio che mi è accaduto poco tempo fa e mi ha fatto davvero arrabbiare, è avvenuto in un luogo insospettabile: il benzinaio», inizia così il racconto di Erika, 31 anni. «Faccio qualche manovra per parcheggiare entro le linee indicate di fianco alla pompa. Esco dalla macchina e una delle ruote era leggermente fuori dal tracciato, senza comunque ostacolare l’accesso alla pompa. Una volta fuori dalla macchina mi accorgo che il benzinaio stava ridendo con un altro uomo del fatto che avessi fatto manovra o parcheggiato leggermente fuori dalle strisce. Sento il sangue che pulsa nelle tempie e, cercando di governare la rabbia, gli chiedo: ‘Se fossi stata un uomo, mi avresti schernita in questo modo? Senza contare che sono una cliente e non dovresti permetterti in ogni caso’. Lui non ha nemmeno risposto».
Molestatore in strada: «Capita sempre mentre pedalo»
Per girare a Milano e dintorni mi muovo in bicicletta, sempre». Elena, 28 anni, racconta un episodio che le è successo qualche mese fa: «Ero ferma al semaforo quando un signore in macchina di fianco a me tira giù il finestrino e mi dice: ‘Sei proprio un bel puttanone’. Io sono incredula e mi viene quasi da ridere, se non fosse che lo ripete con insistenza e inizia a seguirmi. Quando arrivo quasi sotto casa lui mi sta ancora seguendo. Nonostante mi capiti quasi quotidianamente che uomini, soprattutto anziani, mi gridino sconcerie mentre pedalo, è la prima volta che qualcuno mi segue. Vivo attimi di panico, mi sento paralizzata. Fortunatamente proprio sotto casa c’è un gruppetto di persone, mi sono accodata a loro e dopo un po’ il molestatore se ne è andato».
Sul campo: «Il salto in alto è per ragazzi»
Anna ci racconta che durante le ore di educazione fisica a scuola, il suo sport preferito è l’atletica leggera. «Eravamo al campo con il nostro professore, la specialità del giorno era salto in alto. Funziona così: ogni volta che si salta l’asticella viene alzata di qualche centimetro e dopo un po’ è rimasto in gara qualche ragazzo della mia classe, io e altre tre mie compagne. A questo punto, il professore manda noi ragazze negli spogliatoi, continuando la gara solamente con i maschi. Mi è montata una rabbia incredibile: come se noi ragazze, senza tenere conto delle possibilità di errore di qualsiasi persona, avremmo automaticamente saltato di meno. Mi sono sentita inferiore».
Dal dottore: «L’abuso di potere»
Marta ha 34 anni e un paio di settimane fa è andata dal dentista per fare un controllo: «Finita la visita lui, un professionista ultrasessantenne, chiede se può offrirmi un aperitivo. Io sono un po’ basita ma acconsento per gentilezza. Durante l’aperitivo mi dice più volte in modo esplicito che vive fuori Milano ma ha un appartamento libero proprio lì vicino. Io cerco di riportare il discorso su suo figlio, che ha la mia età, per farlo rendere conto dell’inadeguatezza della cosa. Lui ovviamente non molla. La cosa più assurda, però, è che sul momento, e anche dopo, io mi sono sentita in colpa per essere stata così stupida da aver accettato l’invito all’aperitivo. Mentre invece questa è proprio la violenza: che il tuo dentista, di 30 anni più vecchio e in una situazione di potere, ci provi con te non può essere colpa tua. La responsabilità è sua e del suo non sapersi comportare, del non riuscire a esimersi dal cercare di trarre vantaggio dalla sua posizione».
Servizio a cura di Noemi Tediosi