Sul lavoro, per strada, in università. Le storie di sessismo raccontate dalle nostre lettrici grazie al progetto ‘Gazzettino MeToo’ non sono ambientate in un luogo fisico preciso e coinvolgono donne molto diverse fra loro. A dimostrazione che il sessismo non colpisce solo bambine ribelli, ragazze frivole o donne provocanti. Il sessismo tocca corpi e anime di tutti i tipi. Di contro, i commenti o gli atti offensivi arrivano spesso da uomini comuni. Istruiti e benestanti. La discriminazione in base al sesso di una persona è una piaga molto antica della società italiana.
E se non abbiamo colpa per questo tratto ‘ereditario’, di certo abbiamo la responsabilità di cambiare le cose per renderle più eque.
In queste pagine partiamo con il narrare le storie di alcune donne. Le tiriamo fuori dal silenzio di pudore o di vergogna e le portiamo alla luce del sole, nero su bianco. Con la consapevolezza che il primo passo per sconfiggere qualcosa è conoscerla. Informarsi senza sconti anche se può far male. Per offrire a lettori e lettrici un ulteriore servizio, attiveremo un canale preferenziale con la polizia locale di Cinisello Balsamo su esplicita richiesta di chi ci scrive. Ricordiamo infine che le storie vengono pubblicate sempre in forma totalmente anonima, per garantire la tutela delle protagoniste.
Molestatore in centro: «Siamo scappate, rimane la rabbia»
Elena e Chiara (nomi di fantasia) sono due sorelle di 29 e 32 anni, che una mattina di inizio estate decidono di trovarsi a Milano per mangiare un panzerotto in un panificio del centro. «Nonostante avessi già ricevuto spesso commenti e occhiate mentre passeggiavo per la mia città, Bresso – racconta Elena -, un episodio pesante come questo mi ha lasciata davvero schifata». Le due sono in fila per il pranzo, in mezzo alla ressa di persone intorno a loro. «A un certo punto, dal nulla, ci sentiamo chiamare: un uomo a pochi metri da noi ha i genitali scoperti e si tocca facendo dei versi. Siamo rimaste entrambe leggermente shockate e istintivamente ci siamo allontanate. Nessun panzerotto per noi, solo tanta rabbia e disappunto».
Donne di scienza: «Trattamento diverso fin dai banchi scolastici»
Lavorare in ambito scientifico è sempre stato il sogno di Cristina, nome di fantasia, giovane donna 28enne di Cinisello Balsamo. Arrivata in università ha scelto ingegneria ambientale, accostandosi a un mondo, quello delle materie scientifiche, prevalentemente maschile. «Non c’è paragone con l’ambiente misogino con cui hanno convissuto le mie stesse professoresse, 20 o 30 anni fa. Rimane comunque l’impressione di essere un po’ fuori luogo, soprattutto in laboratorio. Ci sono alcuni materiali ed esperimenti che vengono considerati ancora un affare ‘da uomini’. Mi è capitato più volte che i miei tutor si stupissero o spaventassero quando mi apprestavo a utilizzare questi materiali, offrendosi di far loro il lavoro al mio posto».
«In ufficio essere donna fa ancora la differenza»
«Lavoro in una piccola agenzia di comunicazione a Sesto San Giovanni – racconta Giovanna, 45 anni -. Sono entrata in ufficio da qualche mese, dopo aver lavorato in diverse zone d’Italia sempre nell’ambito comunicazione e pubblicità. Mi sono trasferita qui perché mi hanno offerto un contratto con condizioni migliori, che rispecchia la mia professionalità. Dei miei colleghi la maggior parte sono donne giovani, mentre il mio responsabile è un uomo. Da quando ho iniziato a lavorare, ogni giorno ci sono battute a sfondo sessuale rivolte dal mio capo verso le colleghe, usando come pretesti l’aspetto fisico o persino giochi di parole con i nostri cognomi. L’ultimo episodio? Una collega incinta che aveva preso un giorno di malattia è stata incolpata della mancata consegna di lavoro di uno sviluppatore. Quel giorno lui aveva dovuto sbrigare un’incombenza della collega, un compito che lo ha impegnato mezz’ora. Il nostro capo ha deciso che era quindi colpa della futura mamma se lo sviluppatore era in ritardo di tre giorni con la consegna. Alle mie deboli proteste ha risposto: «Non è possibile che voi donne siate sempre ammalate».
Molestie nello spazio pubblico: «Le subisco da quando ho 10 anni»
Marica aveva 10 anni quando, passeggiando per Cormano con una sua amica, un uomo su un camion ha strombazzato, si è fermato, è sceso dalla macchina e ha detto loro: siete bellissime. «È stata la tipica molestia verbale – racconta Marica -. Ero spaventata ma anche affascinata, mi sembrava di star entrando nell’età adulta. La reazione che ho avuto mi ha fatto molto riflettere in seguito sul tipo di società in cui viviamo. La mia amica invece gli ha risposto con un dito medio. «La mamma mi ha detto di fare così», mi disse. Le molestie negli spazi pubblici sono episodi che mi hanno accompagnata sin da allora. A quattordici anni, in metropolitana, ho subìto dei palpeggiamenti da parte di un uomo molto più grande e l’ultimo fatto risale a pochi mesi fa, quando sotto casa mia un ragazzo in bicicletta ha accostato e velocemente è riuscito a far passare la mano sotto la mia gonna. A venticinque anni la mia risposta più importante è stata entrare a far parte di gruppi femministi con cui parlare e capire che questi episodi sono delle vere e proprie ingiustizie. Aver paura di tornare a casa la sera, essere seguita, cambiare strada per non incorrere in molestie. Sentire violato il tuo spazio personale è una limitazione grave dello spazio pubblico. È anche qualcosa che gli uomini non vivono, per loro fortuna e privilegio. Confrontarmi con altre persone di questi gruppi e diventare cosciente sempre di più che camminare senza paura è un diritto, così come lo è non essere infastidita o toccata senza consenso, mi ha resa molto più forte».
Noemi Tediosi